Con
Decreto Legge 10 ottobre 1935, n. 2472,
era istituito, alle dirette dipendenze
del Ministero dell'Interno, il Corpo
Pompieri distinto in Corpi provinciali con sedi nei
Comuni capoluoghi di provincia, nonché un Ispettorato Centrale
con funzioni eminentemente tecniche di indirizzo e di coordinamento;
tale necessità si
era evidenziata quando negli anni 1931-33 l'autorità militare
sperimentò l'impiego in massa e la manovrabilità del
complesso costituito dai corpi civici sparsi sul territorio i quali
risultarono così eterogenei da non dare sicuro affidamento
per l'eventuale impiego collettivo.
I Corpi provinciali, come
tali, erano organismi dipendenti
dall'Ente provincia dal quale venivano amministrati. Lo stesso decreto
legge istituiva, presso il Ministero dell'Interno, la Cassa Sovvenzioni
Antincendi, col fine di sovvenzionare i Corpi provinciali, organizzare
particolari istituzioni di carattere generale e rimborsare allo Stato
le spese per il trattamento, a qualsiasi titolo, del personale dell'Ispettorato
centrale e del ruolo degli Ufficiali del Corpo Pompieri. Il successivo
Decreto Ministeriale 18 febbraio 1936
riconosceva alla suddetta Cassa la personalità giuridica, stabiliva
la composizione del Consiglio di Amministrazione e attribuiva al Ministero
dell'Interno la vigilanza sulla Cassa stessa. In caso di necessità
affiancava il personale permanente il personale volontario reclutato
in sede locale ed iscritto negli
appositi quadri di ciascun Corpo. Detto personale era chiamato a prestare
servizio per un tempo determinato che poteva divenire continuativo
secondo le esigenze, pur mantenendo il carattere della temporaneità.
Nei casi di calamità grave il personale permanente dei Corpi
e quello volontario con almeno sei mesi di servizio effettivamente
prestato, veniva militarizzato,
(Nel periodo bellico infatti l'organizzazione fu dotata di armamento
anche se di tipo leggero).
Alla
fine di maggio del 1940, in una giornata di sabato che vedeva la chiusura
anticipata
di tutte le scuole, alle ore 15 risuonò per provo il segnale
di allarme aereo.
Dalle sirene installate sui municipi e da quelle ad esse collegate
delle fabbriche annunziarono alla popolazione delle province metropolitane
e oltremare del Regno sino a quelle dei Possedimenti dell'Impero;
che la difesa passiva era pronta ad affrontare l'offesa aerea bellica,
vedeva in prima linea il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco da poco
sorto dall'unificazione dei corpi comunali nati episodicamente sul
territorio nazionale.
Con
il Regio Decreto n. 333 del 27 febbraio
1939, il Corpo pompieri assumeva la denominazione
di “Corpo Nazionale dei Vigili
del Fuoco”, ai quali membri vennero riconosciute
funzioni militari e forniti gli armamenti individuali con un Decreto
del Ministero degli Interni di concerto con quello delle Finanze.
L'amministrazione VV.F. possedeva un ordinamento organico unificato
e statalizzato e l'Italia allora come oggi, divideva
nel mondo con i soli stati della Finlandia e del Giappone il vanto
di avere un organizzazione antincendio con tali caratteristiche. Centro
motore della graduale
e profonda trasformazione di un sistema organizzativo fondato da secoli
su basi civiche che si ispirava all'organizzazione antincendio della
Roma Imperiale, fu il Ministero degli Interni, che dopo gli studi
preliminari, affidò la cura tecnico-organizzativa al Prefetto
Alberto Giombini (Jesi
1898-1983).
Egli realizzò in tempi sorprendentemente brevi l'unificazione
con vedute ampie ed ancora oggi rispondenti alle necessità
nazionali del Servizio Antincendio; egli a buon diritto è considerato,
anche all'estero, il creatore del Corpo Nazionale.
Il processo di unificazione investì personale, uniformi, gradi,
materiali, mezzi tecnici ed infrastrutture. Per l'addestramento venne
adottata la regolamentazione in vigore al Corpo di Milano, nel contempo,
venne costruita ed impiantato con criteri didattico-architettonici
ancora funzionali la Scuola Centrale antincendio di Roma-Capannelle.
L'appellativo "pompiere" di provenienza francese venne sostituito
con Regio
Decreto n 1201 del giugno 1938 da quello "Vigile
del Fuoco" (probabilmente ad opera di DAnnunzio).
Il Ministero dellInterno indiceva regolari concorsi annuali
per il reclutamento dei Vigili
del Fuoco permanenti e per l'ammissione ai concorsi, oltre ai prescritti
requisiti
fisici, culturali e morali il candidato doveva conoscere molto bene
uno dei mestieri prescritti nel Bando ed essere iscritto al Partito
fascista.
Il personale permanente doveva sempre considerarsi in servizio anche
se non di turno ed in via normale il servizio
veniva espletato in turni di ventiquattro ore continuative, alternate
a ventiquattro ore di riposo condizionato con obbligo di reperibilità
e servizio-prevenzione presso i pubblici cineteatri.
In caso di contingenze straordinarie i Vigili del Fuoco dovevano prestare
la loro opera di soccorso in ogni parte del territorio del Regno,
in una sorta di servizio nazionale di protezione civile, offerto 24
ore su 24.
Al
30 maggio 1940, nell'imminenza dell'entrata in guerra, il Corpo Nazionale
si avvaleva di 95
Corpi Provinciali ai quali si aggiungevano quelli delle Province d'oltremare
del Regno (Tirana, Tripoli, Bengasi, Derna, Misurata), quello di Rodi
e quelli dell'impero (Addis Abeba, Massaua, Asmara e Mogadiscio).
Con Linizio della guerra, il Corpo Nazionale mobilitò
subito una parte dei Volontari al fine di sopperire al calo di forza
dovuto alla chiamata in servizio militare, dei Vigili destinati ai
Battaglioni Antincendio dell'Arma del genio.
Nel 1941, l'offesa aerea nemica si intensificò su tutto il
territorio metropolitano e nelle colonie e il corpo Nazionale vi impegnò
tutte le sue forze, intervenendo con la consueta perizia tecnica e
con moltiplicato impegno umano e professionale.
Particolarmente
intensa fu l'opera di soccorso nel Sud e a Genova, aggredita dai bombardamenti
navali le perdite umane nel corso dell'anno furono il doppio dell'anno
precedente.
Contestualmente con le offensive terrestri nemiche del 24 ottobre
1942, si scatenò su tutto il territorio nazionale una serie
di imponenti incursioni aeree colpendo più massicciamente le
grandi città ed i piccoli centri causando incendi immani e
crolli a catena.
Il Corpo di Milano, mirabilmente coadiuvato dalle organizzazioni ausiliarie,
ebbe il merito di aver impedito che si effettuasse quel "torrente
di fuoco" che l'aviazione anglo-americana aveva studiato per
distruggere le grandi città e che ebbe il suo tragico effetto
su Amburgo ed Anversa. A Milano, l'opera dei Vigili del Fuoco che
riuscirono a spegnere i focolai in cinque ore, impedì
il formarsi della terribile "corrente ignea" e
perfino Radio Londra, il mattino successivo, riconobbe l'eccezionale
coraggio e l'alta professionalità degli ''italians firemens''.
Dopo il colpo di stato del 25 luglio del 1943 quando, caduto il governo
fascista, subentrò quello del maresciallo Badoglio, molte caserme
vennero
assaltate e tutte vennero bloccate dall'esercito che pretese la consegna
delle armi. Nell'agosto, come è noto, allo scopo di fiaccare
il morale della popolazione, stroncare la produzione e costringere
il Governo alla resa, l'aviazione nemica effettuò una serie
di attacchi sulle città del nord.
La popolazione fu duramente provata con perdite umane elevatissime
in quelli che vennero definiti bombardamenti a tappeto. I vigili del
fuoco furono impegnati per giorni e giorni in uno
sforzo massimo impossibile e moltissimi caddero sotto il fuoco alleato.
Tutti i corpi operarono in condizioni difficilissime, poiché
i turni venivano protratti fino al limite della resistenza fisica,
in quanto non vi era più personale da poter impiegare.
Gli attacchi continuarono fino ai primi giorni di settembre, quando
venne firmato larmistizio.
Anche dopo questo avvenimento i Vigili del Fuoco continuarono il loro
instancabile servizio organizzando autocolonne di emergenza per il
reperimento di viveri per la popolazione civile nelle zone più
colpite, oltre che naturalmente il normale servizio antincendio.
Ai Vigili del Fuoco caduti in azione di guerra furono decretate ricompense
al Valor Civile, ma a questo gruppo di eroi sempre pronti a sacrificarsi
non venne tuttavia riconosciuto dallo Stato come Servizio Militare.